Roma 21 giu – Ecco il discorso integrale che il magistrato Luca Palamara avrebbe voluto pronunciare di fronte all''Anm. Il comitato direttivo centrale dell'associazione nazionale magistrati ha negato questa possibilità. L'Andkronos è entrata in possesso del documento e lo riporta integralmente di seguito. 1. Io sottoscritto Luca Palamara, con riferimento alla trattazione del procedimento disciplinare nei miei confronti rappresento quanto segue. 2.Inizio dalla mia vicenda penale. Sono stato originariamente accusato di aver preso € 40.000 per la nomina a Gela del dott. Longo (mai avvenuta perchè a Gela venne nominato il dott. Asaro). Per questa vicenda su richiesta del Gico della Gdf di Roma mi è stato inoculato il trojan horse per il reato di corruzione in atti giudiziari e sono stato indagato con gli aw. Amara, Calafiore e con il dott. Longo soggetti con i quali mai ho avuto rapporti nella mia vita.
Oggi quell'accusa è caduta perchè il trojan non ha trovato fatti corruttivi come correttamente hanno ritenuto i pubblici ministeri ed il gip del procedimento che mi riguarda. Devo rispondere ancora di alcuni viaggi effettuati con Fabrizio Cento fan ti (persona che frequentava mia sorella dal 2006 e con il quale da allora ho intrattenuto un rapporto di amicizia sia in ambito familiare che in ambito istituzionale con magistrati e forze dell'ordine) e dei lavori di rifacimento di un lastrico solare (sul quale pende un contenzioso condominiale) della sostituzione dei vetri di una veranda di 6 mqx3 e di venti coprivasi presso una abitazione non di mia proprietà ma di una persona a me vicina che mi sono limitato ad aiutare in un momento di difficoltà della sua vita.
Su questa vicenda per la quale mi viene contestato un asservimento della mia funzione (anche se il gip concorda di non aver mai riscontrato un atto contrario ai doveri di ufficio) mi difenderò nel processo per dimostrare la mia totale estraneità alle residue contestazioni. Le carte del procedimento che mi riguarda sono state depositate ex art. 415 bis c.p.p. contengono ogni notizia utile sulla mia vicenda ed oggi stiamo ancora procedendo all'ascolto di tutti i files audio relativi alle intercettazioni telefoniche e telematiche. Tale ascolto si rende necessario essendo emerse delle difformità tra alcuni audio e la trascrizione dei verbali.
3. Ho iniziato la mia carriera nel 1996. Ho fatto sempre il pubblico ministero: fino al 2007 a Reggio Calabria e poi a Roma. E' il lavoro che ancora oggi amo e che ho svolto con passione, ispirandomi sempre all'esercizio imparziale della funzione giudiziaria. Se ho svolto il lavoro di inquirente bene o male non spetta a me giudicarlo, metto ovviamente a disposizione i pareri sulle mie valutazioni di professionalità, ma sicuramente l'ho fatto con impegno e abnegazione anche quando sono ritornato a Roma, in quello che ancora oggi considero il mio ufficio e nel quale a parte le ultime dolorose vicende siamo stati sempre una grande famiglia. E come accade nelle migliori famiglie capita di litigare, di non accettare i consigli giusti e nei momenti di rabbia di esternare il proprio malumore a persone estranee per poi pentirti un momento dopo di averlo fatto.
4.Dal 2007 tanti colleghi (forse sbagliando) mi hanno investito di una funzione rappresentativa. In tale ambito ho fatto parte del sistema delle correnti, quel sistema che ora mi condanna, spesso mi insulta, perchè a torto o a ragione individua in me l'unico responsabile di tutto. Io non mi sottrarrò alle responsabilità “politiche” del mio operato per aver accettato “regole del gioco” sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. Sarebbe troppo facile pensare questo. Quello della rappresentanza è un lavoro totalmente diverso da quello del giudice o del pubblico ministero. Per fare un esempio è lo stesso rapporto che corre tra il leader di una organizzazione sindacale ed il lavoratore che svolge il suo lavoro in una fabbrica. Si viene catapultati in un'altra realtà e personalmente sia la guida dell'ANM che l'attività di consigliere del CSM mi hanno portato ad avere frequenti e costanti rapporti con la politica e con il mondo istituzionale.
In questo contesto: non si scrivono sentenze; non si vive nelle anguste stanze che caratterizzano il lavoro del magistrato sommerso dai fascicoli; si passa il tempo a rispondere alle più svariate richieste di quei colleghi che di quel sistema fanno parte; ci si relaziona con gli esponenti degli altri gruppi per trovare estenuanti accordi su chi nominare capo di un ufficio, su chi mandare in cassazione o alla Dna o alla commissione concorso, su come fare comunicati contro questo o quel malcapitato politico di turno.
Tutte queste attività – e, in particolare, le nomine dei dirigenti giudiziari – sono il frutto di estenuanti accordi politici. Talvolta essi conducono alla designazione di persone degnissime e meritevoli di ricoprire i posti per cui hanno fatto domanda. Nella consiliatura a cui ho preso parte, sono stati nominati più di mille nuovi dirigenti. E tra essi – alla guida delle Procure di Milano, Napoli, Palermo (solo per citarne alcune) – magistrati di grande valore come Francesco Greco, Giovanni Melillo, Franco Lo Voi. E' stato il Consiglio superiore del quale ho fatto parte a promuovere un ampio rinnovamento “di genere”, nominando colleghe di valore alla guida delle Corti di Appello di Milano, Venezia, Firenze, Genova (li anche l'incarico di Procuratore Generale è stato conferito ad una donna) e Salerno. E per la prima volta, ad una collega è stato conferito un incarico apicale di legittimità: quello di Presidente del Tribunale Superiore delle Acque. Ma la politica – ce lo ha insegnato un grande intellettuale come Canetti – ha anche un lato oscuro. Fuor di metafora, in alcuni casi le nomine hanno seguito solo logiche di potere, nelle quali il merito viene sacrificato sull'altare dell'appartenenza. Dei risultati virtuosi di quella esperienza consiliare non ho la presunzione di dirmi l'artefice, ma solo un testimone. Degli altri che non hanno risposto a questa logica sento, invece, il peso della responsabilità. Che però non è soltanto mia. Le chat divenute pubbliche, purtroppo, altro non sono che uno spaccato di questa situazione. Non le ho mai cancellate perchè mai pensavo che il mio telefono potesse diventare oggetto di un provvedimento di sequestro. Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti, penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all'interno del gruppo di Unità per la Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell'attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento. Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie.
Non devo essere io a farlo. Io ascoltavo sempre tutti, anche gli esponenti della politica, esprimevo le mie opinioni in libertà, forse troppa, e poi decidevo con la mia testa da solo come ho sempre fatto in vita mia senza farmi mai condizionare da nessuno e senza mai barattare alcunchè. Su questo sono pronto a sfidare chiunque. All'inizio ero animato dal sacro fuoco del cambiamento, perchè ovviamente anche io mi rendevo conto che era un meccanismo infernale, dal quale però mi sono lasciato inghiottire. Ma ciò non per “sete di potere”, bensì in una “logica” – che oggi riconosco, comunque, erronea – secondo cui il rafforzamento della posizione, mia e del mio gruppo di appartenenza, avrebbe potuto assicurare opportunità di avanzamento di colleghi meritevoli. Ma il fine, ora non posso non ammetterlo, non giustifica mai i mezzi.