Roma, 16 ago. – “Oggi abbiamo bisogno di una democrazia compiuta e governante”. E' uno dei lasciti di Francesco Cossiga, parole che risalgono al 26 giugno 1991, quando l'allora Presidente della Repubblica decise di metterle nero su bianco in un messaggio inviato alle Camere dedicato alle riforme.
Mancava poco meno di un anno alla fine della decima legislatura, di lì a qualche mese sarebbe scoppiata Tangentopoli e nell'aprile del 1992 Cossiga avrebbe lasciato il Colle, con qualche settimana d'anticipo rispetto alla scadenza naturale del settennato. La caduta del Muro di Berlino era destinata a produrre effetti anche sul sistema politico italiano, con la possibilità di superare quella democrazia bloccata che aveva visto per più di 40 anni la Dc e i suoi partiti alleati e filo-occidentali al governo e il Pci 'condannato' all'opposizione.
Dieci anni fa la morte del 'picconatore'
Un vero e proprio cambiamento d'epoca, che in qualche modo accelerava il crepuscolo di quelle forze politiche che dal dopoguerra in poi si erano affermate sullo scenario politico italiano e che erano chiamate a rinnovarsi e a rinnovare il sistema istituzionale.
Un'esigenza avvertita già da alcuni anni, ma che ora diventava impellente e di cui il 'picconatore' si faceva accorato portavoce attraverso la solennità del messaggio alle Camere, dopo mesi e mesi di ripetuti appelli che avevano trovato posto anche nei discorsi di fine anno del 1989 e del 1990.
Parole spesso non ascoltate e non comprese. “Sollecitavo la grande riforma di cui c'era bisogno per schivare la crisi che stava per esplodere -spiegherà Cossiga in un'intervista rilasciata un anno prima di morire- Andreotti, all'epoca premier, rifiutò di controfirmare il documento per la presentazione in Parlamento perchè, si difese, non lo condivideva. Lo firmò il ministro della Giustizia Martelli. Fu il momento più difficile, per me. Sembravano tutti ciechi”.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, la nostra Carta costituzionale, entrata in vigore 72 anni fa, è più che mai attuale nei suoi valori e principi e nei fondamenti ordinamentali che ha disegnato. Tuttavia, come dimostrano anche i vari tentativi di riforma falliti nel corso degli anni, ma anche quelli riusciti, pur se circoscritti ad ambiti limitati, resta altrettanto valida l'esigenza di dare risposte sul piano istituzionale ai mutamenti storici, sociali ed economici di cui pure parlava Cossiga.
“La richiesta di riforme istituzionali, di nuovi, moderni e più efficienti ordinamenti e procedure, non è -scriveva il Capo dello Stato- una richiesta solo 'politica' o tanto meno 'di ingegneria costituzionale', ma è una richiesta civile, morale e sociale di governo, di libertà, di ordine, di progresso da parte della gente comune; ed è una richiesta da parte di quei gruppi e di quei settori dirigenti del sistema politico, economico, culturale che avvertono come dinnanzi alle incalzanti scadenze europee, all'inadeguatezza dell'amministrazione, alle carenze e lentezze della giustizia, al dissesto della finanza pubblica, l'Italia corra il rischio di perdere o di vedere insidiato il posto che si è meritatamente conquistato nel concerto delle Nazioni”.
“Certo le riforme istituzionali non sono, di per sè, la soluzione di tutti questi mali o la garanzia assoluta avverso questi pericoli. Ma in una società moderna, anche proprio perchè società di mercato, società pluralista di competizione che vive di confronto e di dialettica, più che mai è necessario un Parlamento efficiente nelle sue funzioni di legislazione e di controllo, ma anche un governo che governi ed una amministrazione che amministri, un giudice che giudichi, secondo diritto certo ed effettivo; proprio in una società come questa, che per vivere in libertà deve essere regolata dal diritto -perchè libertà e regola del diritto sono valori fra loro non scindibili- è necessaria la certezza del diritto, che vuol dire prontezza e chiarezza nel legiferare, ognuno al proprio livello e nel proprio ambito territoriale, governo con responsabilità e responsabilità con governo, giudici liberi, indipendenti ed imparziali”.
“Una cosa è parlare con senso di giusta sacralità della Costituzione del 1948, come insieme di principi, valori, istituzioni, in cui si è coagulato il frutto di una battaglia ideale e di una lotta per la libertà e per il riscatto nazionale; altra cosa è parlare di rinnovamento delle istituzioni”.
“Chi però ritenesse che invocare una stagione di riforme istituzionali significhi non onorare chi è caduto nella Resistenza, chi ha lottato contro la dittatura, chi ha pagato nelle galere, perchè l'Assemblea costituente potesse essere convocata, chi ha comunque servito o cercato di servire la patria, perchè il popolo potesse liberamente darsi nuovi ordinamenti, scegliendo con voto diretto fra Monarchia e Repubblica, perchè l'Assemblea costituente potesse liberamente deliberare la nostra Costituzione; chi ritenesse di nascondersi dentro questa Costituzione, dietro questa Costituzione e, trasformatala in un feticcio, volesse sbarrare la strada a quella che è la legittima richiesta di nuove istituzioni, in realtà tradirebbe e lo spirito e i valori della Costituzione del 1948”.