Roma, 16 ago. – “Facendo un raffronto tra il panorama e il ceto politico attuale e quello della Prima Repubblica, pur senza alcuna nostalgia, sono senz'altro molti i motivi e gli aspetti che possono portare a giudicare preferibile quello di allora. A cominciare dalla statura di alcuni dei protagonisti istituzionali dell'epoca. Cossiga è uno di questi”. Così all'Adnkronos l'ex leader di Prima Linea Sergio Segio, a dieci anni dalla scomparsa dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
“Nello specifico della mia esperienza di 'ex nemico' – racconta Segio – debbo riconoscere che è stato, se non l'unico, quello che con maggior determinazione e perseveranza si è preso il lusso di dire qualche piccola verità su quegli anni, essendo peraltro l'unico ad avere avuto il coraggio e l'onestà delle dimissioni, all'indomani dell'omicidio Moro. Del resto, è anche stato il solo, avendone i poteri, a tentare – sino allo scontro istituzionale sulla sua proposta di grazia a Renato Curcio – una fuoriuscita, politica e simbolica, da quel periodo che non fosse interamente consegnato ai tribunali e al carcere, e così pure, forse di conseguenza, al rancore perenne. Purtroppo, il suo generoso e lungimirante tentativo ha perso”.
L'ex Prima Linea parla anche dell'attualità e della crisi della classe politica. “Lo vediamo ancor oggi, a distanza di quasi mezzo secolo dagli avvenimenti, dal fatto che, appunto, rancori e spirito di vendetta al riguardo sono tuttora prevalenti nella classe politica e nella società. La vicenda di Cesare Battisti e il suo arrivo in manette in Italia, con corredo di show di ministri trionfanti e di maramaldeggiamento mediatico, ne è forse uno dei più evidenti, oltre che recenti, esempi. E i cattivi sentimenti non sono mai portatori di buone politiche, nè di quel superamento storico che sempre è necessario. Anche per le tragedie. Nonostante i lutti e le sofferenze”.
Segio – che dopo la lotta armata è impegnato oggi da molti anni nel volontariato, particolarmente sui problemi del carcere, l'esclusione e le tossicodipendenze – racconta anche di una sua esperienza personale legata a Cossiga. Di lettere, di appelli.
“Scrissi a lui nel settembre 1994, perorando la necessità che si arrivasse a una soluzione politica per quegli anni, che riguardasse tutti i detenuti e che invece pareva si stesse definitivamente archiviando. Mi rispose con queste parole: 'Gentile Signor Segio, temo anch'io fermamente che il problema anche da me posto di una rivisitazione della tragica storia del terrorismo e dell'eversione nel quadro più ampio delle condizioni politiche interne e internazionali degli ultimi cinquant'anni, sia stato accantonato. E mi rimprovero di averne in parte la colpa, per essere stato io personalmente, Cossiga con la 'K!' uno di quelli che l'ha sollevato. Ma il motivo centrale di ciò è che, salvo alcune frange (ad esempio una parte, ma solo una parte, del 'Manifesto') la 'sinistra ufficiale', a causa dell'esperienza consociativa, è ancora fortemente 'autoritaria' e anti-garantista per quanto attiene i problemi della giustizia. E, anzi, nel suo seno militano gli organizzatori e i leader del 'partito dei giudici' e i sostenitori della 'via giudiziaria alle riforme', se non più al socialismo'”.
L'ex 'comandante' di Prima Linea sostiene ancora che “al di là del vezzo 'picconatorio' che aveva in quel periodo e di quella sorta di 'amore-odio' che sempre mostrava verso il Partito Comunista, credo non avesse tutti i torti. Fu proprio una delle figure eminenti di quel partito, che diventerà suo successore al più alto scranno istituzionale, Giorgio Napolitano, a chiudere per sempre ogni discorso e ogni possibilità di una, pur tardiva riconciliazione, tra le istituzioni e quel residuo di ex combattenti ed ex galeotti degli anni della lotta armata, da lui ancora definiti 'figuri' nei discorsi ufficiali. Differenza di stile, ma anche di sostanza e di lettura di quel pur doloroso passato. Circa il quale, in tutta evidenza, Cossiga aveva sviluppato non solo la convinzione che andava davvero superato recuperando le lacerazioni, ma anche un certo senso di colpa circa le scelte e gli snodi che avrebbero potuto diversamente indirizzare la storia. A cominciare dalla autocritica che fece riguardo i carri armati da lui mandati in qualità di ministro dell'Interno spediti a sedare la rivolta degli studenti nel '77 a Bologna. Ma anche ammettendo (a differenza di tutte le altre figure istituzionali del periodo) gli eccessi repressivi e le torture sugli arrestati. E forse la vicenda Donat-Cattin andrebbe giudicata anche sotto questa luce”.
“Chissà, se Cossiga avesse detto per intero e sino in fondo le verità indicibili di quel lungo dopoguerra italiano, del volto opaco dello Stato, delle stragi, e picconato sino in fondo il sistema dei partiti di allora, forse le istituzioni e la classe politica di oggi sarebbero maggiormente all'altezza di questi tempi, per altri versi e in altri modi difficili”.
“A dieci anni dalla sua scomparsa – conclude – però, non si può che rendergli omaggio e riconoscerne intelligenza e statura politica”.