TORINO – Nella sua trasformazione post industriale, Torino ha cercato di ritagliarsi un ruolo come nuova capitale dell’innovazione, un sentiero molto battuto dalla sindaca Appendino e dai ministri grillini. Sono così sorti incubatori di start up, strumenti e fondi per accelerare lo sviluppo di queste imprese dentro e fuori dagli atenei, oltre all’hub dell’innovazione realizzato alle Ogr di Torino con uno dei piùgrandi acceleratori al mondo, Techstars, dove è arrivata Microsoft e potrebbe a breve aggiungersi anche Facebook. Eppure, nonostante investimenti importanti, i risultati non arrivano equesta frontiera sembra sfarinarsi.
E’ quanto emerge da una ricerca stilata dal Club degli Investitori, un gruppo di businessangel. Ad oggi sono 459 le startup presenti nel torinese, diqueste 132 hanno risposto al questionario, e 382 sono statecensite. Dall’analisi risulta che le startup torinesi sonoinnanzitutto poche, una ogni 5.775 abitanti mentre a Milano lamedia è di una ogni 1.455 abitanti. Non solo, il fatturato medioè del 30% inferiore alla media nazionale (132.220 euro contro162.647). Un valore che cala del 38% se si considera il valoremediano. Lo startupper torinese è poi anziano, comincia a 40 anni, e di solito è un ex manager che si è messo in proprio. Cosamanca? Secondo gli startupper gli investitori.
Non la pensa cosìGiancarlo Rocchietti, presidente del Club degli Investitori cheal contrario, parlando con Italpress, evidenzia una narrazionetutta diversa: ’’Non è vero, ci sono molte famiglie con capitali.Agli startupper dico di muoversi di più e di ricercare i fondi. La presenza di un privato nel proprio capitale, consente di avereuna prospettiva di più lungo termine, crea valore ulteriore’’. Serve quindi coraggio, e voglia di impegnarsi a cercare i fondicon cui crescere, invece magari di aspettare contributi pubblicio para-pubblici. ’’Chi raccoglie pochi fondi privati, cresce meno.Cdp ha fatto bene a porre come condizione che ci sia un socioprivati che li affianchi’’ conclude Rocchietti.